Il progetto di coltivare la terra è nato la prima volta per gioco e dall’entusiasmo di poter vedere una filiera che cresce intorno al pane.
Ma io sono anche dell’opinione che ad ognuno il suo: al contadino la terra, al mugnaio il mulino, al fornaio il pane.
Io sono per ora solo il fornaio.
La terra però c’è e ad un certo punto anche chi ha voluto darci una mano a coltivarla per darci della farina dal nostro grano.
La prima volta è stato fatto tutto a mano, dalla semina al raccolto. Correva l’anno 2020. Avevamo un pugno di semi: una parte me l’aveva donata il compagno di pane Philippe. Si tratta di un grano tenero francese varietà Rouge de Champsors, varietà antica francese. Un’altra parte di seme era di varietà Frassineto, altra varietà antica, recuperata alla Cascina del Vento.
Abbiamo mescolato tutto e seminato a mano una striscia di terra vicino agli orti e ai frutteti di famiglia.
Il grano è cresciuto alto e rigoglioso tanto che molte persone si fermavano per capire di cosa si trattasse e da dove fosse uscito un grano così alto, il grano di tanti ricordi per alcuni. Ricordi di infanzia, di tempi quando il grano era ancora alto più di un bambino che va alle scuole elementari.
Lo abbiamo mietuto a mano coi falcetti assieme agli amici liguri Adriano e Harriet, pionieri bastiani. Ci siamo fracassati le gambe perché il grano è feroce e non solo in fase di mietitura. Abbiamo fatto covoni, caricato un piccolo cassone di un vicino che ce l’ha portato in cascina.
Lo abbiamo caricato tutto su un vecchio carretto così poteva stare al coperto e poi, mentre gli altri la domenica andavano a mare, noi lo battuto, per ottenere la granella. Non avevamo nessuna tecnologia di nessun tipo. Avevamo solo una vecchia rete di materasso, guanti, braccia e giù a battere, poco alla volta. Dopo la 1 volta e dopo esserci accorte che la polvere del grano era peggio che la sua paglia, abbiamo dovuto pure metterci una tuta integrale per non farci massacrare dall’irritaziojne cutanea che ci prese per questa polvere molesta.
Dopo varie settimane di battitura, abbiamo dovuto procedere con la pulizia
Il grano deve essere pulito da presenze varie tipo paglie, terra, corpi estranei vari altrimenti col mulino ci possono essere delle difficoltà se per esempio al mulino non possono dare una pulizia ai chicchi. Avevamo un vecchio ventolino, prezioso quanto necessario e infine abbiamo insacchettato e portato a casa.
E ora mancava solo il mulino.
Come spesso mi è successo col pane, incontrando tante persone, capita anche di avere le possibilità tra una chiacchiera e l’altra di scoprire cose interessanti e di ricordarle al momento giusto oppure di ricevere inaspettati aiuti.
Durante un mercato ad Asti, un collega che produce mais e polenta, mi parlò del mulino dove lui portava a macinare il suo mais per farci farina che però macinava anche grano e questa stessa persona si offrì anche di portarlo a macinare e così, dopo qualche settimana di attesa e tante ore di lavoro, ricevemmo il nostro sacco di farina. 1 sacco. Avrei potuto mettermi a piangere a pensare quanto lavoro c’era stato dietro ad un unico sacco di farina. In realtà era tutto reale ma io ero semplicemente gasata dall’idea di avere la mia farina che era anche la farina di chi mi aveva dato i semi, di chi mi aveva aiutato a seminare, a pulire, insacchettare e infine a trovare il mulino giusto per noi: un mulino a pietra, di piccole dimensioni che accettasse quindi anche piccole quantità di cereale.
Sembrava una storia che si ripeteva: tanta salita ma anche tante persone intorno pronte a condividerla, da quelle incontrata una volta al mercato a quelle vicine da sempre.
Dopo aver provato quindi l’ebbrezza di stringere in mano la nostra farina, c’è stato anche il ripercorrere mentalmente tutto quanto era stato necessario per arrivarci in termini di tempo, energie, organizzazione, competenze, spazio logistico e tanto altro che adesso forse non riesco nemmeno più a ricordare. La conclusione però è stata una sola: meraviglioso ma in quel modo lì anche basta e non
solo per la mancanza di risorse logistiche per gestire tutto il percorso, ma anche perché se da una striscia di grano usciva 1 sacco di grano allora forse per avere qualche sacco in più sarebbe stato necessario seminare non un pugno di semi ma qualcosa in più e ripetere tutta la faticosa magia del “fatto a mano” sarebbe stato impossibile.
Abbiamo quindi preso un anno sabbatico, non per ripensare e riprogrmmare la faccenda, ma perché è andata così e quindi abbiamo continuato a fare pane, a fare le consegne, a gestire la faccenda covid ma anche a fare tante esperienze e a mettere insieme i pezzi di queste esperienze, anche di quelle che portano il grano a fare pane.
Ho avuto possibilità di conoscere alcune persone che coltivano il loro proprio grano, che se lo macinano per poi farci il pane nel loro proprio laboratorio, ma soprattutto ho avuto la possibilità di osservare da vicino il lavoro che sta dietro, vicino, sotto e sopra i mondi di queste persone, mondi non solo progettuali o lavorativi, ma soprattutto personali, di pensiero, di ideali, di vita.
Ho avuto modo di confrontarmi con queste dimensioni di forni agricoli che poi sono diventati anche il mio come modo di lavorare ma anche forse di pensare questa esperienza pane.
Quando si iniziano i nuovi percorsi, si cercano sempre le formule magiche: le ricette, i libri, i trucchi. Si tende sempre a pensare che l’abilità sia la vera chiave del successo e che tutto stia nelle competenze acquisite, nell’esperienza maturata che non è da poco quando si sceglie di coltivare grani di genetica antica e ad un certo punto, nel mio percorso col pane, ho capito che tutto parte dalla terra. Non voglio fare filosofia in merito per quanto possa essere importante ma forse a rischio di retorica. In realtà il mio pensiero è stato mmolto più pratico: ho compreso che per avere un pane che potesse esprimersi al meglio partiva tutto dalla terra. Che tutto quello che mi esaltava nel pane che avevo assaggiato dagli amici che stimavo non era né magico, né frutto di trucchi o di corsi specializzati. Era frutto di grani.