Maggio in un campo di grano

I campi di grano seppur distanti pochi km l’uno dall’altro procedono su due strade molto diverse sulle quali l’acqua pare essere l’ago della bilancia.

Nel campo più vicino che chiameremo Tre Croci, è piovuto molto poco e l’escursione termica di Aprile non hanno fatto buon gioco. Il campo era stato prima coltivato con leguminose che giocano a favore della coltivazione del grano perché riescono ad arricchire il terreno in maniera naturale. Nonostante questo, il grano sta patendo e lo si vede sia dal colore, che dalla mancanza ancora di spighe che rispetto ai grani di altri campi che sono di varietà moderne lo fanno apparire sicuramente più indietro. Ma, il grano è pianta forte e se le piogge si presenteranno potra riprendersi in fretta. Per altro la cosa interessante sarà notare l’evoluzione di due campi non distanti seminati in periodi diversi. Il campo tre croci è stato seminato tra fine ottobre e inizio novembre considerato il periodo migliore per il seminante (salvo condizioni meteo troppo impervie).

Il campo di Ozzano invece è stato seminato precocemente perché a detta del seminante le semine precoci favoriscono una spigazione precoce che preserva il grano dalla mancata crescita a causa della siccità.

Ad oggi quella zona ha ricevuto più mm di acqua in modo sensibile e tutto questo ha favorito una crescita non solo differente ma palesemente rigogliosa dello stesso seme.

Anche in questo campo precedentemente c’era stata la presenza di leguminose che non avevano lavorato così bene tanto da produrre quindi il campo si può considerare un campo non solo ricco di nutrienti ma anche scarico di lavori e quindi maggiormente a riposo.

Che dire? In questo mondo climaticamente pazzo e nel quale l’agricoltura ha regole sia oggettive che soggettive che possono variare da campo a campo e da seminante a seminante, non ci resta che rimanere in attesa di ciò che verrà, anche perché se avessimo la fregola di voler accelerare qualcosa non potremo comunque farlo.

Non so cosa farà maggiore differenza ma so che sarà molto interessante continuare ad osservare.

Alla prossima

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RIFLESSI #1 (del perchè e del per come il pane buono non sia considerato mai abbastanza)

Ad Aprile di quest’anno (2023) sono stata per qualche giorno a Madrid. Sono state varie volte in Spagna, quindi ho presente cosa la riguarda a grandi linee dal punto di vista culinario, ma non ero ancora stata a Madrid e con mia felice e inattesa sorpresa, sia nelle Taberne (che sono come le nostre trattorie) che nei locali più In, il cestino del pane era sempre un Signor cestino. Nella maggior parte dei locali la tovaglia non esiste quindi non si paga il coperto ma si paga il pane che io ho ritrovato essere sempre di buona qualità. Si parla di pane di grano tenero, artigianale, sicuramente non prodotto dal locale stesso, fatto con pasta madre. La cosa mi ha piacevolmente stupito e fatto pensare al fatto che la qualità di quel pane era molto superiore a quella che normalmente posso ritrovare in un qualunque locale Italico. Nel frattempo, al mio ritorno, ho avuto occasione di scambiare due chiacchiere con un caro amico, il buon Matteo, che ha vissuto per anni in Regno Unito dove era anche negli stessi giorni in cui io ero in quel di Madrid. Si trovava lì presso alcuni amici proprietari di panetterie artigianali che fanno dell’ottimo pane a pasta madre e mi diceva che il pane andava davvero molto forte. Anche in quel caso, sono rimasta piacevolmente colpita soprattutto perchè, da frequentatrice del Regno Unito fino a qualche 15 anni fa, il pane di mio ricordo e il solo che io abbia mai mangiato era quello in busta di plastica che si usa per farsi un toast.

Detto questo, la domanda, che poi ho condiviso anche ad alcuni amici di pane. è sorta in un attimo: in un paese come la Spagna dove il pane si mangia da mattina a sera ho ritrovato un pane di qualità mediamente buona e certamente più che buona nei locali; in un paese come il Regno Unito che non vanta certo tra le presenze in tavola il pane come tradizione, le panetterie che fanno il sourdough bread fanno furore e noi? Perchè qui il pane buono, quello buono per davvero, stenta così tanto a prendersi il giusto spazio? perchè si fa ancora così fatica ad acquistarlo, a trovarlo sulle tavole dei ristoranti, nei negozi?

Potrebbe aprirsi una lunga discussione, mi rendo conto, ma cercherò di essere breve e di riassumere alcune delle considerazioni e conclusioni a cui sono arrivata in questi giorni in cui i miei pensieri ho potuto per fortuna condividerli con chi ha maturato altre esperienze e in altre parti d’Italia.

Parto dalla conclusione: si tratta di un fattore culturale.

E parto dalla mia esperienza personale, che ho scoperto non essere comunque solo mia. Nella mia generazione, che è quella degli anni 80, e certamente in quella dei miei genitori e dei miei nonni, il pane in tavola non era quello fatto in casa nè quello con lievito madre. Era banalmente il pane del forno che di solito era “panaccio” comune fatto con farine bianche e lievito di birra che ancora oggi caratterizza molti forni “tradizionali” (e nessuno me ne voglia se l’ho definito panaccio). Stop. Era pane che si usava poi da mettere nel latte o per farci pangrattato perchè la sera era già secco e duro. Io sono quindi la prima che ha sempre vissuto il pane come qualcosa da acquistare tutti i giorni, da mangiare nel giro di un giorno e poi da riciclare in qualche modo se si poteva. Sono la prima che non si è mai posta il pensiero di cercare un’alternativa fino a che qualcuno mi fece anche scoprire che del pane diverso esisteva (anche se era ancora ai suoi albori) e che era differente in tutto: gusto, consistenza, benefici per il mio corpo, modo di farlo ecc. Non è stato difficile perchè era buono e anche se dovevo fare quello sforzo in più per conservarlo e gestirlo, era anche un piacere farlo perchè potevo avere il pane in tavola tutta la settimana e non essere tutti i giorni al forno o al supermercato se avevo voglia di una bruschettina. Mi rendo conto che ci è voluto un pò, ci è voluto scoprire, capire e certamente il tempo che ci ho messo per arrivare a far diventare il pane buono buono il mio pane è stato breve perchè a me è piaciuto subito tanto. Mi sono resa conto che aveva del “buono” in sè anche se dover studiare trattati di nutrizionismo. Mi bastava intrattenermi al banco al mercato e fare due chiacchiere con chi lo produceva.

Detto questo, ora che non siamo più negli anni 80 ne 90 e che io sono dall’altra parte del banco a fare la parte della fornaia, mi rendo conto che vendere un pane di grandi dimensioni nell’era delle monoporzioni, che chiedere alle persone che lo acquistano anche di gestirlo un pò per conservarlo al meglio nell’era del “non ho tempo, mi manca il tempo, devo correre, ho mille impegni”, che farlo solo due volte a settimana dovendolo prenotare e concordando un orario per le consegne nell’era del cibo pronto, disponibile 7 su 7 24h e consegnato a casa in qualsiasi orario e condizione, non sia proprio la più facile delle soluzioni. Me ne rendo conto e mi rendo quindi conto che forse la conclusione a cui siamo giunti, parlandone, io, Damiano (di Anticamente) e Manuel (di Infarinatura), sia effettivamente un fattore culturale. Se non cambia quel fattore forse non può cambiare il risultato e il pane buono buono rimarrà ancora relegato all’acquisto sporadico fatto al mercatino di turno, al “è troppo caro” dei ristoratori, al “eh ma diventa duro in un attimo o mi fa la muffa” di chi lo porta a casa. Mi rendo anche conto che non sia facile se ho sempre mangiato una ciabatta o una michetta, affrontare un pane di grani antichi o uno di segale ma mi sento anche di dire che non si sia nemmeno così difficile perchè stiamo pur sempre parlando di pane buono, quello buono per davvero, fatto con scrupolo, attenzione e coscienza non solo per il corpo ma anche per l’ambiente che sono due binari che corrono paralleli e rispetto ai quali non si può più permettersi di non prestare attenzione (o almeno io personalmente non ce la faccio).

E’ ormai imprescindibile Mangiare con la testa (come dice Damiano di Anticamente), concetto che mi piace non solo tanto ma che credo sia la vera conclusione di questa prima riflessione di oggi, perchè contiene in sè quella consapevolezza del cibo che è così necessaria sia per il nostro corpo che per quello che ci circonda che è oramai innegabile. Quello che decidiamo di mettere in tavola e e nel nostro corpo così come la Terra Madre se ne fregano del “giusto rapporto qualità prezzo” perchè l’unica logica che considerano non è quella del “giusto” ma quella de “il meglio” (il meglio possibile per il corpo e per la Terra che lo genera). Se ci chiedessimo cosa vogliamo davvero e cosa vogliamo per il nostro benessere sono certa che rispoderemo tutti IL MEGLIO e allora forse a quel meglio bisogna iniziare a pensarci e quindi a mangiare con la testa.

Per ora lancio e vi lascio con questa riflessione. Per chiunque abbia voglia di proseguire, ci si risente su questi schermi quando sarà. Io vado a far decantare ancora le idee non prima di aver ringraziato i miei compari di pensiero Damiano Visentin del progetto di pane Anticamente Lab di Roncade TV e Manuel Perego di Infarinatura Lab Art di Roma,

Ore vuar gente.

23/04/23 8.06 am

RIFLESSI (proposte per una riflessione)

RIFLESSI

Ho pensato di chiamare così una serie di “articoli” che avranno come oggetto delle riflessioni di varia natura e di vario autore. In soldoni, siccome di cose in testa sempre tante, di domande altrettanto e di curiosità pure, quando vedrete la scritta RIFLESSIONI, saprete che io e/o stimati amici o colleghi, metteremo per iscritto quello che ci passa per la testa con l’idea di condividere e di provare forse a darci un pò di quelle risposte o di punti di vista differenti che altrimenti rimarrebbero solo nostre. E qualcuno potrebbe pensare: eh, forse sarebbe meglio! Ci sta, però sono sinceramente e umilmente convinta che la biodiversità vinca sempre, che riesca a costruire non solo il meglio che si può avere in tavola e quindi nel nostro stomaco, ma anche nelle nostre teste e nel nostro vivere quindi la parola d’ordine è RIFLETTI e poi buttati nei RIFLESSI,

Ore vuar gente.

22/04/23 5.28pm

STORIE DA UN CAMPO DI GRANO (e precisamente dalla semina 2022)

Aprile 2022

Prime immagini della seconda esperienza in campo. O meglio, è la terza, se considero quella volta in cui abbiamo seminato a mano qualche manciata di Gentilrosso e Frassineto, raccolto e battuto a mano. O forse, data la fatica del tutto, preferisco non pensarci quasi (amorevolmente parlando). E’ da due anni che seminiamo un ettaro di grano o meglio di grani; sì perchè quello che vedete in foto è la crescita del Solibam: un miscuglio di grani teneri antichi differenti che crescono assieme in campo facendo della loro diversità la loro maggior forza, oltre a quella che già il grano di suo possiede, perchè, come diceva Lodovico: il grano è peggio della gramigna. Resiste a tutto, E in effetti, soprattutto negli ultimi anni, tra crisi idrica, meteo impazzito, entusiasmi sempre meno persistenti tra gli agricoltori, questi grani sono un esempio di resilienza palpabile. La scelta di mettere in campo un miscuglio di grani vecchi che qualcuno come l’Azienda Agricola Floriddia in Toscana e l’azienda Li Rosi in Sicilia, continua caparbiamente a seminare, a custodire, ad osservare per poi poterle veder crescere anche sui campi di altre aziende agricole, è una scelta ben precisa. Si sceglie di bypassare e rifiutare i semi che derivano dall’industria agro-bio-chimica e quindi di conseguenza si bypassa quello strapotere e tutto ciò che ne consegue in termini economici ed etici. Si sceglie di lavorare in campo e poi in laboratorio con grani il cui patrimonio genetico sia il più possibile vicino all’origine e quindi sia ancora, per quanto possibile, vicino alla sua essenza perchè così poi sarà possibile trasferirla nel pane. Si sceglie di prediligere un metodo di coltivazione delicato, non invasivo, fatto di pochi gesti che sono quei pochi che questi grani richiedono intraprendendo un’avventura sicuramente rischiosa ma anche l’unica possibile, E’ la stessa che mi porta a scegliere un piccolo produttore se devo acquistare delle farine, delle noci, dell’olio, perchè penso sempre che ha più bisogno di me di altri. Anche quest’anno quindi ci siamo imbarcati in un’avventura che se tutto andra bene ci porterà del grano buono che faremo macinare dal mugnaio del Mulino Rosso e col quale proveremo a fare del pane che sarà ancora una volta nuovo e diverso da quello che avremo assaggiato l’anno prima. Terremo da parte il seme sufficiente per riseminare, così che se per caso un tifone dovesse abbattersi sul campo prima della mietitura, avremo preservato la parte che ci serve per ritentare ancora che è quello che fa sempre la Natura: rinascere ancora una volta e sempre.

PROGETTI AMICI

Il titolo parla da sé e spiega già bene di cosa si tratta ma mi preme comunque farvi sapere che le persone sono state l’elemento chiave di questo progetto, fin dal suo esordio. Fin da quando ho potuto osservare Martina fare il pane, Giovanni fare il pane, Philippe fare il pane (solo per citarne alcuni) e come dico sempre, io non ho imparato l’arte, io ho conosciuto persone e così ho capito cosa rendeva speciale il loro pane. Erano loro lì dentro e ad un certo punto ho compreso cosa significava la frase che sentivo dire così spesso “Le ricette contano poco, perché quando tornerai a casa a fare il tuo di pane, sarà tutta un’altra storia”. Ora so cosa questo voglia dire in modo radicato e radicale ed è proprio così: ad ognuno il suo pane quotidiano o non.

La sezione progetti Amici quindi racconterà non storie di pani, né dei loro ingredienti, delle loro ore di lievitazione e di cottura. Non racconterà di prodotti ma di chi li produce, delle loro storie, del legame che hanno con la materia, col territorio che li ospita, con i progetti che portano avanti e con tutto quello che questo può dire e ci saranno storie anche che esulano il mondo pane ma che per me sono state di grande ispirazione come spero saranno per voi che vi prenderete il tempo, se vorrete, di scorrere e leggerle e magari di andarle a scoprire.

LA STORIA DI GIOVANNI E ROSA (SEMINALUCE) in quel di Montalcinello

LA STORIA DEL PANE DELLA TERRA

LA STORIA DI INFARINATURA

LA STORIA DI SUPIOT

LA LETTURA DEI VIGNAI DEL DULINE

LA STORIA DI SETA

Come abbiamo iniziato a coltivare il grano

Il progetto di coltivare la terra è nato la prima volta per gioco e dall’entusiasmo di poter vedere una filiera che cresce intorno al pane.

Ma io sono anche dell’opinione che ad ognuno il suo: al contadino la terra, al mugnaio il mulino, al fornaio il pane.

Io sono per ora solo il fornaio.

La terra però c’è e ad un certo punto anche chi ha voluto darci una mano a coltivarla per darci della farina dal nostro grano.

La prima volta è stato fatto tutto a mano, dalla semina al raccolto. Correva l’anno 2020. Avevamo un pugno di semi: una parte me l’aveva donata il compagno di pane Philippe. Si tratta di un grano tenero francese varietà Rouge de Champsors, varietà antica francese. Un’altra parte di seme era di varietà Frassineto, altra varietà antica, recuperata alla Cascina del Vento.

Abbiamo mescolato tutto e seminato a mano una striscia di terra vicino agli orti e ai frutteti di famiglia.

Il grano è cresciuto alto e rigoglioso tanto che molte persone si fermavano per capire di cosa si trattasse e da dove fosse uscito un grano così alto, il grano di tanti ricordi per alcuni. Ricordi di infanzia, di tempi quando il grano era ancora alto più di un bambino che va alle scuole elementari.

Lo abbiamo mietuto a mano coi falcetti assieme agli amici liguri Adriano e Harriet, pionieri bastiani. Ci siamo fracassati le gambe perché il grano è feroce e non solo in fase di mietitura. Abbiamo fatto covoni, caricato un piccolo cassone di un vicino che ce l’ha portato in cascina.

Lo abbiamo caricato tutto su un vecchio carretto così poteva stare al coperto e poi, mentre gli altri la domenica andavano a mare, noi lo battuto, per ottenere la granella. Non avevamo nessuna tecnologia di nessun tipo. Avevamo solo una vecchia rete di materasso, guanti, braccia e giù a battere, poco alla volta. Dopo la 1 volta e dopo esserci accorte che la polvere del grano era peggio che la sua paglia, abbiamo dovuto pure metterci una tuta integrale per non farci massacrare dall’irritaziojne cutanea che ci prese per questa polvere molesta.

Dopo varie settimane di battitura, abbiamo dovuto procedere con la pulizia

Il grano deve essere pulito da presenze varie tipo paglie, terra, corpi estranei vari altrimenti col mulino ci possono essere delle difficoltà se per esempio al mulino non possono dare una pulizia ai chicchi. Avevamo un vecchio ventolino, prezioso quanto necessario e infine abbiamo insacchettato e portato a casa.

E ora mancava solo il mulino.

Come spesso mi è successo col pane, incontrando tante persone, capita anche di avere le possibilità tra una chiacchiera e l’altra di scoprire cose interessanti e di ricordarle al momento giusto oppure di ricevere inaspettati aiuti.

Durante un mercato ad Asti, un collega che produce mais e polenta, mi parlò del mulino dove lui portava a macinare il suo mais per farci farina che però macinava anche grano e questa stessa persona si offrì anche di portarlo a macinare e così, dopo qualche settimana di attesa e tante ore di lavoro, ricevemmo il nostro sacco di farina. 1 sacco. Avrei potuto mettermi a piangere a pensare quanto lavoro c’era stato dietro ad un unico sacco di farina. In realtà era tutto reale ma io ero semplicemente gasata dall’idea di avere la mia farina che era anche la farina di chi mi aveva dato i semi, di chi mi aveva aiutato a seminare, a pulire, insacchettare e infine a trovare il mulino giusto per noi: un mulino a pietra, di piccole dimensioni che accettasse quindi anche piccole quantità di cereale.

Sembrava una storia che si ripeteva: tanta salita ma anche tante persone intorno pronte a condividerla, da quelle incontrata una volta al mercato a quelle vicine da sempre.

Dopo aver provato quindi l’ebbrezza di stringere in mano la nostra farina, c’è stato anche il ripercorrere mentalmente tutto quanto era stato necessario per arrivarci in termini di tempo, energie, organizzazione, competenze, spazio logistico e tanto altro che adesso forse non riesco nemmeno più a ricordare. La conclusione però è stata una sola: meraviglioso ma in quel modo lì anche basta e non

solo per la mancanza di risorse logistiche per gestire tutto il percorso, ma anche perché se da una striscia di grano usciva 1 sacco di grano allora forse per avere qualche sacco in più sarebbe stato necessario seminare non un pugno di semi ma qualcosa in più e ripetere tutta la faticosa magia del “fatto a mano” sarebbe stato impossibile.

Abbiamo quindi preso un anno sabbatico, non per ripensare e riprogrmmare la faccenda, ma perché è andata così e quindi abbiamo continuato a fare pane, a fare le consegne, a gestire la faccenda covid ma anche a fare tante esperienze e a mettere insieme i pezzi di queste esperienze, anche di quelle che portano il grano a fare pane.

Ho avuto possibilità di conoscere alcune persone che coltivano il loro proprio grano, che se lo macinano per poi farci il pane nel loro proprio laboratorio, ma soprattutto ho avuto la possibilità di osservare da vicino il lavoro che sta dietro, vicino, sotto e sopra i mondi di queste persone, mondi non solo progettuali o lavorativi, ma soprattutto personali, di pensiero, di ideali, di vita.

Ho avuto modo di confrontarmi con queste dimensioni di forni agricoli che poi sono diventati anche il mio come modo di lavorare ma anche forse di pensare questa esperienza pane.

Quando si iniziano i nuovi percorsi, si cercano sempre le formule magiche: le ricette, i libri, i trucchi. Si tende sempre a pensare che l’abilità sia la vera chiave del successo e che tutto stia nelle competenze acquisite, nell’esperienza maturata che non è da poco quando si sceglie di coltivare grani di genetica antica e ad un certo punto, nel mio percorso col pane, ho capito che tutto parte dalla terra. Non voglio fare filosofia in merito per quanto possa essere importante ma forse a rischio di retorica. In realtà il mio pensiero è stato mmolto più pratico: ho compreso che per avere un pane che potesse esprimersi al meglio partiva tutto dalla terra. Che tutto quello che mi esaltava nel pane che avevo assaggiato dagli amici che stimavo non era né magico, né frutto di trucchi o di corsi specializzati. Era frutto di grani.

NOTIZIE DA UN MERCATO

I mercati: uno dei traguardi a cui aspiravamo da sempre. Non è stato facile. Come ogni cosa anche questa strada ha voluto il suo tempo, la sua salita, ma alla fine ne è valsa la pena perchè i mercati sono per davvero il luogo ideale che mi aspettavo per questo pane. Ogni mese dove e quando: 1 sabato del mese Vercelli Piazza Cavour – mcercato NaturalVercelli. Il mercato parte alle 9.00 e chiude alle 19.00 ma normalmente il pane finisce ben prima quindi vi consiglio di non arrivare oltre le 13.00. Il mercato si snoda nella piazza e attorno ad essa. E’ un mercato di produttori di cibo (pane, formaggio, verdure, nocciole, miele, dolci) ma anche di artigianato di vario tipo (bigiotteria, fiori, manufatti in legno, pietre ecc). La piazza è davvero carina e c’è una bella atmosfera. Con i vercellesi si è instaurato un bel rapporto e andare al mercato è una bella occasione anche per scambiare parole, racconti. Ogni 2 domenica del mese – Casale Monferrato zona retrostante mercato antiquariato Pavia (vicino Esselunga). Dalle 9.00 alle 19.00 ma anche in questo caso meglio arrivare prima delle 13.00 per il pane. Il mercato è piccino e si chiama Farmer’s Market. Si compone di una decina di banchi solo di cibo tra cui troverete formaggi di capra e non, miele, verdure, riso, nocciole, vino, polenta. La zona è pedonale quindi molto comoda al passaggio e anche qui si respira la bella atmosfera che regala il mercato dell’antiquariato che è sempre molto ricco in ogni senso. Insomma bella occasione per farsi un giro per Casale. Il mercato lo stiamo frequentando solo da qualche mese ma ci sono già belle sensazioni. 4 domenica del mese Mercato della Terra di Torino – piazzale ingresso Eataly (Lingotto) – dalle 9.00 alle 18.00 ma anche qui stessa formula. Per ora parteciperemo alle edizioni di Marzo, Maggio e Giugno. Per gli altri mesi vi faremo sapere perchè il concetto dei Mercati della Terra prevede che per ogni appuntamento ci sia un solo produttore per ogni prodotto. Essendo questi mercati non troppo grandi come numero di banchi, la trovo una cosa molto saggia. Durante l’anno partecipiamo anche a delle giornate di mercato occasionali e per quelle vi terrò aggiornati mano a mano.
Qui avevo voglia di riepilogare il nostro esserci al mercato perchè ci tengo tanto. Ci tenevo e ci tengo tanto perchè mi interessa non solo che il pane arrivi più possibile in tavola, ma anche perchè nei mercati ci possiamo riappropriare di uno spazio condiviso che non serve solo per fare una spesa “politica” (politica intesa come una spesa che predilige canali non legati alla grande distribuzione o ai mercati di massa) ma che ci permette anche di stare più vicini e di scambiare parole, idee, pensieri. Lo spazio che occupiamo mi sembra che tenda a diventare sempre più solitario e l’esperienza dello stare assieme sempre meno frequentata se non tra amici, parenti, famiglia stretta. Mi piace pensare invece che a volte si possa tornare ad occupare spazi altri che ci permettano di tornare a quella familiarità dello stare assieme anche se solo per il tempo di una spesa un sabato mattina che però ci fa tornare a casa più “ricchi”. Ad ogni modo, sui nostri canali sociali troverete sempre gli aggiornamenti del caso quindi vi rimando là per tutte le info in corso d’opera (facebook and IG). A presto gente e ore vuar